Elezioni regionali | Salvini vince, Di Maio regge ma soffre, Zingaretti perde e riflette. Il punto politico, dopo le regionali, con Esposito e Salzano

Abruzzo, Sardegna, Basilicata. Il 2019 elettorale è iniziato con tre competizioni regionali, che avevano (ed hanno avuto) il chiaro proposito di testare la salute dei partiti ad un anno dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018

A distanza di qualche giorno dalla tornata elettorale in Basilicata, ultima in ordine di tempo prima dell’election day del 26 maggio prossimo, è opportuno fare delle riflessioni sugli esiti e, inevitabilmente, sugli scenari che si delineano nella vicenda politica nazionale.

Le tre elezioni hanno dimostrato che la Lega di Matteo Salvini è il partito con la crescita più cospicua e duratura nel tempo, che ha risentito di meno, rispetto al Movimento Cinque Stelle, del fatto di essere un partito di governo. Anzi, il Ministro dell’Interno, con la sua presenza nell’esecutivo e sui maggiori media italiani, ha ottenuto una visibilità – su temi molto sentiti dagli elettori – che gli è stata utile, specialmente al centrosud, per conseguire risultati, fino a qualche anno fa, non prevedibili. Difatti, se le elezioni politiche hanno aperto la strada del Meridione al partito del Nord – ora, a trazione elettorale nazionale –, le tornate delle settimane scorse hanno confermato che la Lega è un interlocutore, a tutti gli effetti, anche nei territori oltre il Po.

«La Lega sta operando una trasformazione importante che le consente di giovare del peso personale di Salvini legato alle sue doti comunicative, alla polarizzazione degli argomenti e alla sua capacità di monopolizzare l’agenda», sottolinea Domenico Esposito, consulente politico e gestore della pagina Facebook L’analista politico. Rilevante ai fini delle ottime performance elettorali, secondo Esposito, è, altresì, la campagna acquisti territoriale che il vice-presidente del Consiglio ha fatto in questi mesi: «Emblematico è il caso del partito Sardo d’Azione, che la Lega aveva usato come lista d’appoggio e che successivamente è riuscita a tenere vicino e superare». Oltre alla macchina elettorale salviniana, è proprio grazie al Partito del neo-presidente Solinas che il centrodestra, in Sardegna, ha espanso il suo consenso, tant’è vero che la storica formazione autonomista ha più che raddoppiato le sue preferenze.

Dello stesso avviso è Gennaro Salzano, che ha insegnato Scienza Politica e Sociologia dei fenomeni politici alle Università Suor Orsola Benincasa e Luigi Vanvitelli: «Gli spostamenti di notabili ci sono, li vediamo tutti, e spesso sono spostamenti della peggiore specie, che però da soli non bastano a spiegare questa ondata di consenso». E aggiunge: «non credo neanche sia sufficiente aggiungere la narrazione, certamente vincente, sui migranti e sulla sicurezza. Credo piuttosto che la Lega abbia colto una istanza più profonda non tanto nell’elettorato quanto nella comunità: il bisogno di elementi di identificazione collettiva». Un’identità, insomma, che il centrosinistra ha smarrito, ma che Salvini, strategicamente, ha riportato alla ribalta: «Il PD e la sinistra, proprio a cominciare dalla immensa sciocchezza del superamento delle culture, per anni non hanno fatto altro che proporre la destrutturazione di qualsiasi elemento identitario collettivo; hanno proposto una anomia totale nella quale ciascuno si è sentito solo e senza alcun riferimento. Nessuna società si è mai retta senza elementi identitari che la tenessero insieme, la Lega li sta offrendo e la comunità si ritrova» dice Salzano.

Il Movimento Cinque Stelle, alle elezioni abruzzesi, sebbene sconti una perdita di consensi fra quelle del 2019 e quelle del 2014 – addirittura, la candidata presidente Sara Marcozzi, il 10 febbraio scorso, ha raccolto più voti dello stesso Movimento –, può essere soddisfatto per la crescita in Basilicata e per essere entrati, per la prima volta, al consiglio regionale sardo, dove, in valore percentuale, ha ottenuto il 9,5% dei voti, mentre, in valore assoluto, ha guadagnato 68mila preferenze.

«Il M5S ha pagato lo scotto dell’assenza di radicamento territoriale, riducendo di conseguenza la possibilità di strutturare il proprio voto, che invece resta in parte liquido» rileva il consulente Esposito, e in parte condizionato dall’astensione visto che il Movimento guidato da Luigi Di Maio «si muove principalmente sul voto d’opinione e non ha una struttura territoriale, che si traduce nell’incapacità di tramutare il voto delle politiche in voto amministrativo».

La mancanza di radicamento territoriale dei pentastellati è alla base anche del pensiero di Gennaro Salzano, il quale evidenzia come «il Movimento Cinque Stelle sia un fenomeno mediatico e di laboratorio, più o meno come la prima Forza Italia che presentava gli stessi risultati elettorali: un boom alle politiche e risultati miseri lì dove occorre radicamento e organizzazione». «La differenza con Forza Italia» – prosegue il giornalista e docente – è che, in quel caso, il partito-azienda era il dominus incontrastato di governo e coalizione e quindi aveva tutta la possibilità di strutturarsi sul territorio e nel contempo di reggere una narrazione anche senza grandi risultati, specie se quella narrazione è credibile». Del resto, il M5S paga, altresì, la mancanza di una classe dirigente adeguata, nonostante – dichiara Salzano – «credo non siano più incapaci degli altri a livello locale, anzi, talvolta propongono anche liste di qualità migliore. La cosa assurda è che immaginano di vincere da soli, senza nessuna coalizione e non hanno neanche una identità», a differenza della Lega, che, storicamente, ha esponenti locali più preparati e un’identità più chiara. Gli unici elementi identitari – completa Salzano – «sono quelli della protesta anti-sistema, che vanno però in corto circuito quando il sistema sei tu».

Le elezioni in Abruzzo, Sardegna e Basilicata hanno premiato Salvini e soddisfatto parzialmente Di Maio, ma hanno aperto una seria riflessione nel Partito Democratico, guidato, da poco, da Nicola Zingaretti. Invero, il centrosinistra è stato sconfitto in tutte e tre le regioni, ponendo, addirittura, fine al monopolio politico dei fratelli Pittella in Basilicata.

Paragonando le ultime elezioni con quelle del 2013 e del 2014, in Abruzzo, il PD ha perso 105mila voti, in Sardegna 56mila, in Basilicata 51mila, ma, alleato con altre forze locali e nazionali, ha appurato che può ancora dire la propria nell’agone politico.

Per Domenico Esposito, il calo del PD e una non soddisfacente prestazione di tutta la coalizione è dovuta al fatto che, da un lato, «l’area di sinistra muove poco il voto d’opinione, indice questo di un persistente disinnamoramento del proprio elettorato», dall’altro, «la struttura territoriale del partito è fortemente influenzata dai rapporti di forza interni» tali per cui «molti notabili, consci del fatto che il simbolo non porta un valore aggiunto alla compagine, si rifugiano spesso in liste minori».

L’effetto Zingaretti, in Basilicata, non c’è stato e questo è chiaro sia per Esposito sia per Salzano. Quest’ultimo, molto tranchant nei confronti del Partito Democratico, al nostro giornale, sostiene: «Che effetto avrebbe potuto mai esserci da una elezione avvenuta qualche giorno prima? Certo i sondaggi dicono che il PD torna a circa il 20%. Se questi dovessero essere davvero i numeri, saremmo più o meno nell’alveo tradizionale, storico, della sinistra italiana, specie se sommato ai voti delle altre piccole formazioni. Non credo quindi che si possa dire che il Partito Democratico perda voti, il PD prende i voti della sinistra italiana. La stupidità è stata quella di pensare di essere un partito capace di raccogliere i voti sia dei ceti moderati, produttivi, sia della sinistra tradizionale. Alla fine, non ha rappresentato né gli uni né gli altri con il risultato che gli elettori di sinistra si sono sentiti traditi e, quelli che immaginavano altro, alla fine lo hanno abbandonato dopo la fiammata del 40% alle scorse europee. È la nemesi della sciagurata operazione di fondazione: un partito nato per superare le culture si regge solo grazie al consenso che deriva da una specifica cultura politica».

La Lega, a poco meno di un anno dalla nascita del Governo Conte, pare massimizzare con successo la sua presenza nella maggioranza, al contrario dei grillini che ne stanno risentendo maggiormente, forse, anche per le loro posizioni ondivaghe confrontandole con quelle espresse prima di essere una forza governativa. La maggioranza sembra tenere, al di là delle supposizioni sulle possibili crisi di governo dopo le Europee. «Nel caso di un’eventuale caduta anticipata, l’unica soluzione potrebbe essere rappresentata dalla coalizione di centrodestra»? afferma provocatoriamente Esposito. «Pongo questa domanda anche in virtù del fatto che una possibile coalizione aperta, inclusiva di Berlusconi & co., potrebbe anche rappresentare una perdita di voti, più che un rafforzamento, per il partito di Salvini». Prima di congedarsi, Esposito continua dicendo: «Lo storytelling portato avanti dal Ministro dell’Interno trae linfa dalla vicinanza al M5S, altrimenti potrebbe risultare il promotore del ritorno al passato. Alla luce di queste valutazioni, mi sento di dire che non esiste ad oggi un’alternativa all’attuale governo, ma solo un potenziale candidato, non interessato a cedere consenso ai partner del centrodestra». Salzano, dal canto suo, a conclusione dell’intervista, sulla durata del Governo tiene ad evidenziare: «Questo Governo è quanto di più ibrido e insensato sia mai esistito nella storia repubblicana. Non è un Governo, sono due Governi monocolore che si tengono a vicenda: ciascuno approva i suoi provvedimenti con i necessari voti dell’altro, salvo poi prendere immediatamente le distanze da quei provvedimenti stessi perché proposti dall’alleato. Durerà perché non ha alternative e cadrà quando queste ci saranno: o attraverso un cambiamento del quadro politico, con nuovi soggetti in campo, o con una riforma, l’ennesima, della legge elettorale».

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