Sono ore di ritorno all’orrore quelle che stanno trascorrendo in Medio Oriente i cittadini israeliani e palestinesi. Tra Hamas (Movimento di resistenza islamica) e il governo di Benjamin Netanyahu è di nuovo guerra. Il conflitto è riesploso ieri mattina con l’attacco missilistico battezzato Operazione tempesta Al-Aqsa da parte del ‘fantasma di Gaza’, Mohammad Deif, leader del Movimento palestinese.
L’offensiva sferrata da Hamas è avvenuta in occasione di una data simbolica della guerra che mette contro la Palestina e Israele. Sono passati infatti cinquant’anni e un giorno dalla prima guerra del Kippur e la strategia d’attacco dei miliziani palestinesi fa segnare un vero proprio salto di qualità in termini tattici per Hamas. Si è trattato infatti di un attacco combinato aereo, terrestre e marittimo che è riuscito ad eludere il sistema antimissile israeliano Iron Dome, riuscendo a centrare edifici in diversi insediamenti ebraici. Sfruttando le barche e i parapendii a motore, i combattenti palestinesi hanno superato le difese erette da Israele come barriera per difendersi da Gaza, riuscendo così ad attaccare città e postazioni militari.
Gli israeliani hanno già combattuto quattro guerre con i militanti palestinesi nella Striscia di Gaza da quando le sue forze e i suoi coloni si sono ritirati dal territorio costiero nel 2005. I conflitti più duri sono avvenuti nel 2008, 2012, 2014 e 2021, e dunque, 4 guerre avvicendatesi in poco meno di 15 anni.
Così, il 27 dicembre 2008, Israele lancia una serie di attacchi aerei contro i militanti di Gaza, in un’offensiva passata alle cronache come Operazione Piombo Fuso. L’obiettivo era quello di fermare il lancio di razzi palestinesi verso Israele, per poi procedere al dispiegamento anche di forze di terra. Ai nastri d’arrivo, il 18 gennaio, la conta dei caduti in guerra sarà di 1.400 palestinesi e 13 israeliani.
Il 14 novembre 2012, è la volta dell’Operazione Pilastro di Difesa, ossia, un attacco missilistico con cui Israele riesce ad uccidere il principale comandante di Hamas, Ahmed Jaabari. Seguirono circa otto giorni di conflitto armato in cui vennero uccisi 177 palestinesi e sei israeliani. I circa 1.000 razzi che i miltanti di Gaza lanciarono verso Israele vennero tutti intercettati dal sistema di difesa missilistico israeliano “Iron Dome”.
Ancora, l’8 luglio del 2014, Israele dava vita all’operazione Linea di Protezione, sempre con l’intento di fermare il lancio di razzi palestinesi e questa volta anche con l’obiettivo di distruggere i tunnel con cui le milizie palestinesi riuscivano ad infiltrarsi in territorio israeliano. L’enclave di Gaza subì bombardamenti per via aerea e marittima. Alla fine del conflitto che durò circa sette settimane, persero la vita 2.251 palestinesi e 74 israeliani, tra cui 68 esponenti dell’esercito.
Infine, nel maggio del 2021, va in scena la guerra degli 11 giorni. Sempre in risposta ai razzi provenienti dalla Striscia, Israele conduce un’offensiva tramite attacchi aerei e d’artiglieria che uccide 248 persone a Gaza, tra cui perderanno la vita anche 66 bambini. I morti sul fronte israeliano saranno 13, tra cui un soldato, caduti per mano di Hamas che lanciava razzi dopo gli scontri tra le forze di sicurezza israeliane e i palestinesi presso la moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme.
Ultima rappresaglia in ordine cronologico, il 7 ottobre 2023. A poco più di una giornata dall’inizio delle ostilità si fa già la conta del bollettino dei caduti. Sarebbero circa 600 i morti tra le fila israeliane, causate dalla pioggia di missili che la mattina del 7 ottobre scorso Hamas ha lanciato verso il nemico. Sulla sponda opposta la conta è altrettanto pesante. Solo nella striscia di Gaza si contano oltre 370 vittime, mentre 400 sarebbero i terroristi del movimento di Hamas che avrebbero perso la vita negli scontri dovuti alla reazione ordinata dal governo all’esercito israeliano.
L’unica certezza al momento è che il costo di questo ennesimo conflitto porterà la conta dei caduti ad aumentare, visto e considerato il numero dei feriti che per ora si aggira intorno alle duemila unità e tenendo presente che il capo del governo di Israele ha già annunciato alla stampa le sue intenzioni, affermando che il suo Paese si sta “imbarcando in una guerra lunga e difficile”.
Il leader di Likud ha subito puntato il dito contro Hamas, accusandolo di aver sferrato un attacco omicida senza precedenti verso Israele. Le operazioni militari di reazione ai missili provenienti da Gaza “andranno avanti fino al raggiungimento degli obiettivi” ha dichiarato il premier israeliano. E’ evidente che la strategia di terra sarà quella di sfondare il muro di confine con le terre palestinesi, anche per liberare gli oltre 100 ostaggi finiti nelle mani del nemico. Alcune fonti all’interno della Striscia sostengono che sarebbero tre le fazioni armate palestinesi di Gaza che tengono in ostaggio civili israeliani, sia morti sia vivi. Queste sono quelle che fanno capo ad Hamas, al movimento Jihad islamica guidata dal segretario generale Ziyad al-Nakhalah e Brigate dei Martiri di Al Aqsa. Ognuno di questi contingenti avrebbe in ostaggio civili e militari israeliani, rinchiusi nei tunnel o in case sicure. Ovviamente il bottino più cospicuo sarebbe nelle mani di Hamas. “Abbiamo deciso di porre fine a tutti i crimini dell’occupazione”, hanno comunicato le Brigate Ezzedine al-Qassam, braccio armato di Hamas, “è finito per loro il tempo di scatenarsi senza essere ritenuti responsabili”.
Per far fronte agli attacchi provenienti da Gaza, il gabinetto di sicurezza del governo israeliano ha votato la messa in stato di guerra del Paese, procedendo così al via libera verso “attività militari significative”. A conferma delle intenzioni belliche di Tel Aviv, una lunga fila di tank israeliani si sta dirigendo verso il sud del paese con destinazione Gaza.
L’operazione difensiva israeliana messa in campo e denominata “Spada di ferro” prevede, oltre ai raid aerei, le forze di terra che devono intervenire per contrastare i miliziani infiltrati. Il maggiore generale dell’esercito israeliano, Ghasan Alyan, ha avvertito che Hamas ha la responsabilità di aver “aperto le porte dell’inferno” e che “pagherà per le sue azioni”. Nel frattempo, proprio mentre dalla Striscia continuano i lanci dei razzi verso Israele, miliziani palestinesi armati provenienti da Gaza si sono infiltrati in territorio israeliano questa mattina nella città di Sderot, dando vita ad una sanguinosa sparatoria ai danni dei nemici schierati sul campo.
Dal mondo politico europeo messaggi di vicinanza per il leader israeliano. Infatti, come da comunicazione pervenuta alla stampa internazionale per il tramite dell’ufficio del premier, Benjamin Netanyahu ha avuto colloqui con il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e il primo ministro britannico Rishi Sunak. Tutti all’unisono non hanno fatto mancare il “sostegno incrollabile al diritto di Israele all’autodifesa”.
Ovviamente anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è stato protagonista di una conversazione telefonica col premier israeliano. “Ho parlato con il primo ministro Netanyahu questa mattina, gli ho detto che gli Stati Uniti sono al fianco del popolo di Israele contro questi attacchi terroristici. Israele ha il diritto di difendersi”. Queste le parole del vertice della Casa Bianca che ha parlato inoltre con il re Abdullah II di Giordania.
Sulla sponda opposta non sono mancati i messaggi di vicinanza e sostegno alla guerra contro il nemico. In prima linea al fianco dei palestinesi che si riconoscono nella politica di Hamas è arrivato in soccorso l’Iran, che ha parlato con la voce del suo presidente, Ebrahim Raisi. Decisamente forte la posizione presa dal leader iraniano, il quale ha espresso il suo più incondizionato appoggio alla causa dell’autodifesa della nazione palestinese. Inoltra, non ha mancato di sferrare una bordata al contingente politico e diplomatico occidentale, con una dichiarazione che ha un sapore molto amaro dal punto di vista storico:
“Il regime sionista e i suoi sostenitori (…) devono essere ritenuti responsabili di questa vicenda e i governi musulmani dovrebbero unirsi alla comunità musulmana nel sostenere la nazione palestinese”, questo il messaggio lanciato ai suoi sostenitori da parte del leader del regime di Teheran.
Al fianco dei palestinesi vicini ad Hamas anche Hashem Safi al-Din, capo del Consiglio esecutivo di Hezbollah libanesi, il quale quest’oggi in una conferenza stampa ha lanciato un siluro mediatico a Stati Uniti e Israele, dichiarando esplicitamente che le loro azioni costituiscono delle vere e proprie violazioni dei luoghi santi islamici e il “superamento di tutte le linee”. Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e che ha portato all’operazione terroristica “diluvio di Al-Aqsa” condotta in prima linea da Hamas. Secondo il leader di Hezbollah l’intera nazione islamica si unirà al “diluvio” se le forze del contingente occidentale persisteranno in questa condotta che egli stesso definisce pura “follia”. A conferma di questa posizione, proprio alle prime luci di questa mattina, il regime degli Hezbollah ha sparato proiettili di mortaio contro siti militari israeliani al confine con il Libano, affermando di essere in solidarietà con la “resistenza palestinese”.
Un sincero invito a trovare la strada di una soluzione che possa moderare le posizioni assunte da ambo le parti in causa è giunta dalla Russia, dalla Turchia, Arabia Saudita ed Egitto.
Stando ai dati di fatto non ci resta che appellarci alle parole espresse da Papa Francesco, il quale, al termine dell’Angelus ha detto: “Il terrorismo e la guerra non portano nessuna soluzione ma solo morte e sofferenza per tanti innocenti. Ogni guerra è una sconfitta. Preghiamo perché ci sia la pace in Israele e in Palestina”.