Fundraising per la cultura, un incontro in programma a Roma. Intervista a Valeria Romanelli

Dalla Galleria Borghese di Roma alla Galleria degli Uffizi di Firenze, dalla Pinacoteca di Brera alla Reggia di Caserta, dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli a quello di Reggio Calabria, dagli Scavi di Pompei al Complesso Monumentale Pilotta di Parma, dal Palazzo Reale di Genova al Parco Archeologico di Paestum. Sono soltanto alcuni dei 41 enti autonomi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ammessi, dall’anno finanziario 2017, a ricevere il 5xMille dei contribuenti italiani. Quest’elenco, consultabile sul sito del MiBACT, non esaurisce, ovviamente, la ricchezza di siti culturali di cui beneficia il nostro Paese. L’Italia, infatti, ha il più ampio patrimonio culturale a livello mondiale con quasi cinquemila luoghi di interesse storico-artistico e culturale, fra musei, parchi archeologici, monumenti, gallerie e collezioni e con 54 siti riconosciuti dall’UNESCO.

Soltanto nel 2018, i nostri musei e le aree archeologiche sono state visitate da 55 milioni di visitatori, in aumento rispetto all’anno precedente. Va rilevato che i biglietti staccati sono stati quasi 25 milioni, mentre gli ingressi gratuiti hanno raggiunto e superato i 30 milioni. Numeri che devono indurre una riflessione in chi ha il compito di programmare, progettare ed eseguire le politiche culturali, considerando che, comunque, gli accessi gratuiti, sebbene possano aumentare l’interesse verso le bellezze che conserviamo, pongono un’evidente questione di incassi mancati e di costi realizzati.

Come dimostrano i dati pubblicati dal Ministero, la nostra storia e la nostra arte attirano tanti appassionati, molti curiosi e anche troppi turisti della cultura (quelli che entrano senza consapevolezza, magari perché la visita fa parte del pacchetto acquistato dal tour operator o per condividere l’esperienza distratta sui social), specialmente quando questi luoghi sono free entry. Pur essendo numerosi gli ingressi, le istituzioni culturali italiane, con i visitatori, non riescono a creare delle relazioni solide e durature, venendo meno, così, il cosiddetto engagement.

Questa mancanza si nota osservando proprio i dati del 5xMille pubblicati di recente dall’Agenzia delle Entrate – sebbene facciano riferimento all’anno 2016 –, attraverso i quali è possibile documentare una situazione deprimente circa la capacità di questi siti museali e archeologici di attrarre il contributo proveniente dalle dichiarazioni dei redditi degli italiani, nonostante gli accessi, nello stesso anno, si siano contati in oltre 45 milioni. Infatti, considerando solo i luoghi di cultura menzionati all’inizio, si scopre che, nel 2017, per i redditi 2016, solo 10 contribuenti hanno scelto la Pinacoteca di Brera, 7 la Galleria degli Uffizi, 6 la Reggia vanvitelliana, 5 l’area archeologica di Paestum, 4 gli Scavi di Pompei e il Museo Archeologico di Reggio Calabria e appena 2 hanno firmato per il Museo Nazionale di Napoli e per il Complesso Monumentale della Pilotta. Addirittura, Villa Borghese e il Palazzo Reale di Genova non hanno ottenuto nemmeno una preferenza!

Il 2016 – così come la prima parte del 2017, quella durante la quale gli italiani hanno dichiarato i guadagni dell’anno addietro – va detto che è stato il primo anno di quei venti direttori nominati dall’allora Ministro Franceschini. Molti di essi sono stati chiamati proprio a dirigere alcune di questi enti menzionati, facendosi apprezzare nel corso degli anni di gestione. L’effetto della loro azione sull’attrattività del 5xMille, perciò, andrà verificato, globalmente, fra qualche anno, allorquando l’Agenzia delle Entrate diffonderà gli elenchi dei beneficiari e le quote a loro destinate per gli anni 2018 (redditi 2017) e 2019 (redditi 2018).

Un evento dedicato al fundraising per la cultura

Non solo di 5xMille, ma, soprattutto, della necessità di creare fiducia e relazione fra pubblico e privato, tra enti culturali e cittadini/imprese si parlerà all’evento Più Fundraising, Più Cultura il prossimo 12 aprile, a Roma, dalle 9.30, nella Sala Ottagona delle Terme di Diocleziano. L’iniziativa è ideata e organizzata dalla Scuola di Fundraising di Roma, diretta da Massimo Coen Cagli, in partnership con il MiBACT, l’ALES, l’ANCI e il Centro per il libro e la lettura, con il patrocinio della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e dall’Associazione Italiana Fundraiser, con l’ulteriore collaborazione della Fondazione Fitzcarraldo e di Patrimonio Cultura, con il sostegno, infine, dell’Associazione Italiana Esperti Scientifici per i Beni Culturali e di IREN.

Il motivo di fondo che muove l’appuntamento romano è che con la cultura si mangia, perché non solo può far girare soldi, può incrementare i livelli occupazionali, ma può, soprattutto, generare vivacità nei nostri territori.

Un patrimonio storico-artistico-culturale così importante e disseminato come quello nostrano non può essere gestito soltanto dal settore pubblico, tantomeno unicamente dal libero mercato; necessita di una governance integrata, che superi l’idea diffusa del mero finanziamento pubblico e si apra concretamente al fundraising e ai fondi privati, visto che ormai la legge lo consente.

L’iniziativa è suddivisa in tre sessioni – anticipate da un’introduzione e succedute da una conclusione –: I), Si fa già fundraising per la cultura: fattori di ostacolo e di facilitazione nell’esperienza delle istituzioni culturali e dei fundraiser, II) Verso una politica nazionale del fundraising per la cultura, III) Il Sistema Museale Nazionale, un’occasione per lo sviluppo del fundraising per la cultura. A quest’ultimo panel prenderà parte, in qualità di relatrice, Valeria Romanelli, cilentana, consulente e docente di fundraising, cofondatrice dell’Associazione di promozione sociale Sud Fundraising. A lei, il nostro giornale, Istituzioni24.it., ha posto delle domande sulle politiche culturali italiane e sulla raccolta fondi per la cultura.

Romanelli: «Progetti chiari per coinvolgere la comunità»

L’Italia è un immenso museo a cielo aperto. Lo Stato, per quanto di sua competenza, da solo, può gestire una così vasta ricchezza e contribuire alla sua manutenzione e crescita? E i musei privati possono, a loro volta, essere sostenuti soltanto con il mecenatismo da parte delle famiglie benestanti che detengono questi patrimoni?

Spesso, sento dire che all’estero sono molto più capaci di noi di valorizzare i beni culturali e anche intorno ad una piccola statua o ad un piccolo museo riescono a fare grandi numeri e ne riescono ad avere grande cura. È relativamente semplice per uno Stato prendersi cura del proprio patrimonio culturale quando esso è esiguo, specialmente se c’è una classe dirigente illuminata che punta su quel patrimonio culturale. Non è altrettanto facile fare lo stesso discorso in un Paese come l’Italia la cui concentrazione di siti culturali non solo è molto grande ma soprattutto è sparpagliata sull’intero territorio nazionale suddivisa tra le varie città ma anche tra i comuni, a volte piccolissimi comuni. L’idea che lo Stato Italiano, da solo, possa prendersi la stessa cura tanto del grande museo archeologico quanto del sito culturale greco-romano ubicato in un piccolo comune del Sud Italia, secondo me, è utopia. E questo perché, mentre è intuitivo immaginare che un’opportuna gestione possa fruttare ad un grande museo in termini di presenze e dunque di ticket e ripagare quindi l’investimento dello Stato, non è altrettanto semplice immaginare che le cose vadano allo stesso modo per siti archeologici, musei, beni culturali ubicati in piccoli centri dove la possibilità di ripagarsi in termini di presenze è chiaramente molto ridotta.

In questo contesto è chiara la necessità di coinvolgimento di possibili mecenati nel sostegno alla valorizzazione. Ma, secondo me, facciamo un errore se pensiamo solo alle grandi famiglie benestanti. E facciamo un errore anche se pensiamo solo al sostegno ai musei privati; anzi oggi, è molto più agevole fare fundraising per il patrimonio culturale pubblico grazie all’introduzione dell’Art bonus, ossia il credito d’imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno della cultura e dello spettacolo nella misura del 65% delle erogazioni liberali effettuate.

Il fundraising per la cultura può essere un mezzo per rendere sostenibile questo patrimonio, ma solamente se il sistema di gestione dei beni culturali si modernizza e integra pubblico e privato, stato e regioni, istituzioni e associazioni. Altrimenti, ognuno agisce isolatamente e l’offerta culturale si disperde in mille rivoli. Vede un cambiamento di strategia complessiva negli ultimi anni?

Come in parte ho anticipato, sicuramente, c’è già stato un cambio significativo di strategia che mi pare passi sostanzialmente per due momenti legislativi. Il primo, per vari aspetti, è sicuramente il Decreto cultura, dal quale discende il grande progetto Pompei. Le cose, penso, più significative sono l’introduzione del già citato Art bonus e l’introduzione della figura del manager museale a capo degli istituti della cultura. Bastano già queste due introduzioni per cambiare il sistema di gestione dei beni culturali: l’una apre al cittadino che, però, non può essere considerato un semplice bancomat della cultura, l’altro pone il problema di una gestione manageriale e quindi non più attenta solo agli aspetti di tutela e di conservazione. Tutto insieme porta ad una governance necessariamente più aperta e ad una necessità di azioni di sistema.

L’altro momento legislativo importante è il Decreto musei. In questo decreto ministeriale, che, sostanzialmente, ri-disciplina l’organizzazione ed il funzionamento dei musei statali, viene specificato, all’art.4, che ogni museo avrà 5 distinte aree funzionali, ognuna assegnata a una o più unità di personale responsabile. Tra queste c’è quella marketing, fundraising, servizi e rapporti con il pubblico, pubbliche relazioni. Insomma, viene introdotto in un documento ministeriale il fundraising, istituzionalizzandolo fra le funzioni di un museo.

Con questo decreto, vengono gettate le basi per un cambiamento epocale nella vita dei musei statali autonomi, perché, in qualche modo, viene rivista il ruolo dei musei: da meri custodi di arte a veicoli di coinvolgimento del pubblico verso l’arte in essi custodita. Questo coinvolgimento travalica un limite che per anni è stato un punto fermo dello Stato Italiano, ovvero che i cittadini possano contribuire alla cura, alla tutela, alla valorizzazione del patrimonio pubblico con un sostegno che non è più solo quello dovuto attraverso le tasse.

Nel 2018, i musei e le aree archeologiche italiane sono stati visitati da oltre 55 milioni di visitatori: gli ingressi dei non paganti, nelle giornate in cui l’accesso è gratuito, hanno superato di circa 5 milione gli ingressi paganti. I musei gratis sono un beneficio per la comunità, ma un costo per chi li gestisce. Crede più utile lasciare, periodicamente, giornate di ingresso gratuito – magari, stimolando donazioni libere – oppure pensa che sia giusto ripristinare un biglietto, più o meno simbolico, per dare valore a ciò che si visita?

Non è facile affrontare la questione poiché gli aspetti di cui tenere conto sono molteplici ed in parte già snocciolati nella stessa domanda. Personalmente, sono ancora favorevole ad alcune giornate ad ingressi gratuiti, purché se ne faccia tesoro! Innanzitutto, non è il gratis di per sé il problema, non a caso il British Museum di Londra è ad ingresso gratuito per tutti sempre e non è ancora fallito! In Italia, indubbiamente, queste giornate gratuite hanno avvicinato molto nuovo pubblico ai musei; il problema è che di tutto questo passare di folle non rimane traccia né queste persone vengono coinvolte in un processo di avvicinamento all’istituzione culturale che generi valore, anche economico. Come scrivevo in un mio articolo di qualche tempo fa, una delle pecche che riscontro nei musei nazionali è la totale assenza di attenzione al cliente, il cui passaggio non lascia traccia se non in un eventuale ticket. Non c’è possibilità dunque di ri-coinvolgerlo. Se, dopo una giornata gratis al museo, un visitatore resta soddisfatto, nulla ci impedisce di immaginare che, opportunamente informato e stimolato, possa prendere parte anche ad altri eventi a pagamento. Anzi, se l’esperienza è stata positiva, questo è altamente probabile anche perché genera un senso di soddisfazione essere nella mailing list di un museo.

Lei interverrà alla terza sessione, che si intitola Il Sistema Museale Nazionale, un’occasione per lo sviluppo del fundraising per la cultura. Ci dà un’anteprima della sua relazione?

La sessione, riservata al neonato Sistema Museale Nazionale, ha il compito di individuare azioni concrete che il MiBACT può porre in essere per favorire l’adozione    del fundraising da parte dei musei italiani, anche creando utili sinergie con gli altri soggetti pubblici e privati. Il Sistema Museale Nazionale. Cercherò, dunque, di portare l’esperienza maturata sia come fundraiser sia come membro dell’AIES, con cui, da anni, porto avanti studi sul settore e organizzo eventi dedicati.

 

 

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