Regionalismo differenziato | Maggiore autonomia: favorevole 88,9% dei Consigli regionali

Presentata, a Napoli, la ricerca di Censis per la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali

NAPOLI- “L’89,9% dei consiglieri regionali e’ favorevole alla maggiore autonomia su specifiche materie, come previsto dall’art. 116 della Costituzione. La percentuale scende al 76% nelle Regioni del centro e del sud Italia.
E’ quanto emerge dalla ricerca realizzata da Censis, sul ruolo della dimensione regionale nell’evoluzione del mosaico territoriale italiano, per la Conferenza dei Presidenti dei Consigli regionali e delle Province Autonome, presentata, oggi, a Napoli, in un’iniziativa a cui hanno partecipato  la Presidente del Consiglio Regionale della Campania e Coordinatrice della Conferenza, Rosa D’Amelio, l’assessore regionale al Bilancio, Ettore Cinque, il presidente di Censis, Giuseppe De Rita, il presidente di Svimez, Adriano Giannola, il responsabile dell’Area Economia e Territorio di Censis, Marco Baldi, moderati dal direttore de “Il Mattino”, Federico Monga.

Questi i punti salienti della ricerca: 

No alle macro-regioni
La mappatura del mosaico territoriale del Paese realizzata dal Censis evidenzia che le specificità dei territori italiani rimangono elevate, con numerose aree omogenee che tagliano o debordano i confini regionali. La disintermediazione non può funzionare per governarne lo sviluppo. Solo il 28,6% dei consiglieri regionali interpellati dal Censis ritiene che vada perseguito il disegno di macro-regioni: servono invece policy relazionali di livello inter-regionale.
Divari ampi e crescenti all’interno delle singole regioni
La variabilità infra-regionale del valore aggiunto pro-capite supera i 6.000 euro e negli ultimi dieci anni è aumentata in 14 regioni su 20. Analoga situazione riguarda gli aspetti demografici, la crescita delle imprese, la propensione ad esportare, l’andamento dell’occupazione. Le province più deboli accentuano nel tempo la loro debolezza. Questi divari, ampi e crescenti, segnalano l’importanza di tornare a guardare con attenzione ai processi socio-economici che innervano i territori. Le Regioni dovranno dotarsi di sensori della micro-dimensione in grado di offrire una restituzione puntuale di quanto accade nei localismi.
Gli italiani votano sempre meno, ma si amplia lo scarto di affluenza tra le elezioni politiche e quelle regionali
Era del 5% nei primi ’90, mentre oggi si attesta intorno al 15%. La gran parte dei consiglieri regionali (74,2%) ritiene che il regionalismo non «scalda il cuore» degli italiani. E la ragione principale viene individuata nell’incapacità delle Regioni stesse di veicolare il senso del loro ruolo.
Solo il 23% dei cittadini ha fiducia nelle istituzioni locali.
Il dato europeo è del 51%. Nelle Regioni del Nord la fiducia nelle istituzioni locali è superiore a quella nelle istituzioni centrali. Nel Sud il dato è diametralmente opposto. La maggior parte dei consiglieri regionali (89,6%) mantiene inalterata la fiducia nel futuro della rappresentanza territoriale. Solo il 10,4% manifesta orientamenti pessimisti con riferimento alla perdita di sovranità degli stessi Stati nazionali.
Prioritaria la ridefinizione dei rapporti tra le Regioni e lo Stato centrale
Il 61,2% dei consiglieri regionali (il dato arriva al 76,9% nel Nord-Est) auspica un riordino complessivo del regionalismo italiano. Secondo il 68,3% l’assetto attuale, che prevede una competenza concorrente su alcune materie, viene ritenuto sensato, purché il riparto dei poteri veda lo Stato realmente impegnato solo nella definizione dei principi generali. Si richiede che quando il Governo interviene in materie di sua competenza esclusiva, ma con impatti significativi sulla dimensione regionale, attivi forme di consultazione preventiva e di cooperazione con le Regioni (90,5%).
Sì al regionalismo differenziato
Il 56,3% dei consiglieri regionali è orientato positivamente al riguardo (nel Nord-Est il dato sale al 68%). Solo il 23% ritiene che le Regioni debbano esercitare ovunque le stesse funzioni. Della questione si dibatte dal 2001 e nel frattempo si è delineato un regionalismo differenziato di fatto. Basta osservare gli esiti dell’attività delle Regioni nelle competenze loro attribuite: in materia di sanità la quota di popolazione che si ritiene soddisfatta in alcune regioni supera il 60%, in altre è inferiore al 20%.
L’elezione diretta dei presidenti non ha aumentato la capacità di incidere delle Regioni
Ne è convinto il 72,6% dei consiglieri regionali. Tutti ritengono che la dimensione politica (appannaggio dei Consigli) sia stata progressivamente sganciata dalla dimensione istituzionale (ancorata all’operato degli esecutivi) e che questo abbia estromesso le assemblee elettive dal campo del policy making.
C’è un forte bisogno di rappresentanza dei territori
Lo pensa l’89,6% dei consiglieri regionali. Il 48,4% è convinto che siano diventati luoghi sterili, simulacro di un’antica cultura istituzionale, dove al più si ratificano le decisioni degli esecutivi. Per uscire dall’impasse si chiede un rafforzamento delle prerogative delle assemblee elettive nell’indirizzo strategico e nella definizione dell’agenda regionale. La mission percepita riguarda la crescita economica della regione piuttosto che l’idea della rappresentanza.
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